L’importanza dell’attività fisica è nota all’uomo sin dall’antichità. Le popolazioni primitive, costrette a cacciare e difendere il territorio si accorsero ben presto che agilità e forza fisica richiedevano applicazione e ripetizione, in sostanza allenamento. Sin dalle prime civiltà, il concetto di attività fisica si legò a quello di benessere e alimentazione, trovando massima espressione nella Grecia di Edorico (V secolo a.C.), medico e sportivo che lasciò numerosi scritti a riguardo.
Oggigiorno sport e salute rappresentano un binomio inscindibile. Innumerevoli ricerche scientifiche hanno ormai dimostrato l’innegabile azione dello sport sulla salute e il benessere dell’uomo.
Praticare attività sportiva riduce l’insorgenza di tumori al seno, all’utero e alla prostata, grazie alla moderazione del metabolismo ormonale. Maggiore movimento comporta minori livelli di glicemia e quindi d’insulina nel sangue. Essendo una sostanza altamente infiammatoria, l’insulina è complice di stress ossidativo, dolori diffusi e malattie cardiovascolari (come ipertensione, ictus e infarto). Lo stesso vale anche per i soggetti diabetici, costretti a somministrarsi insulina. Allenarsi regolarmente migliora sensibilmente la qualità della vita, favorisce il funzionamento dell’apparato cardio-respiratorio, rinforza il sistema immunitario, per non dimenticare la diminuzione dell’obesità e i benefici psicologici legati al dimagrimento nonché al miglioramento dell’umore, procurato dal rilascio di endorfine. Ma di quanto sport abbiamo bisogno per garantirci salute e benessere? Secondo i pareri maggiormente accreditati sembrerebbe che un adulto necessiti di almeno 45 minuti di camminata veloce (a bassa intensità cardiaca) o 30 minuti di corsa (o comunque allenamento ad alta intensità cardiaca).
Il consumismo selvaggio di ultima generazione vede il mondo preda di realtà come Netflix, Amazon e Just Eat. La rete ci ha collegati, più o meno consapevolmente, ad una sorta di Matrix che ci rende spettatori inermi delle nostre vite: Ordiniamo cibo a domicilio, facciamo shopping online e viviamo le emozioni attraverso i personaggi delle serie tv .
Oltre 23 milioni di italiani vivono una vita sedentaria (più di 1 su 3); dato in aumento, soprattutto se consideriamo che, nel nostro Paese, il tasso di anzianità cresce di anno in anno. Il responsabile degli affari europei dell’associazione “Sports and Citizenship”, durante un convegno a Bruxelles, ha reso noto che la sedentarietà di 210 milioni di cittadini europei incide sui costi sanitari e sociali per 80 miliardi di euro. Conti alla mano, la ricaduta sul bilancio italiano è poco meno di 9 miliardi di euro.
La Spesa italiana per lo Sport è cresciuta dal 2003 al 2007, passando da 610 milioni di euro a 877 milioni di euro; per poi diminuire progressivamente fino a 412 milioni euro nel 2019 (bilancio preventivo CONI 2019); solo briciole per l’attività sportiva nella Scuola e nell’Università (circa l’1%). Ma è davvero giusto parlare di “spesa” o sarebbe forse più corretto parlare di investimenti, quando parliamo di Sport?
Il Libro Bianco dello Sport, documento sull’impatto dello sport sulle politiche UE, evidenzia la presenza di una correlazione tra PIL e Spesa per lo Sport. In Italia, lo sport ha grande rilevanza sul bilancio dello Stato, con un giro d’affari pari all’1,7% del Pil, 25 miliardi di euro; 53 miliardi se consideriamo la produzione diretta e indiretta da esso attivata. Tuttavia, quasi il 90% del finanziamento allo sport è sostenuto, nel nostro Paese, da aziende e famiglie, per la pratica di attività sportiva.
Sotto l’attento monitoraggio del CONI esistono oggi in Italia, circa 70 mila realtà associative, la maggior parte delle quali sotto la forma di Associazioni o Società Sportive Dilettantistiche (ASD e SSD), che contano 5 milioni e 650 mila tesserati,
L’Italia riconosce la rilevanza dello Sport anche attraverso una serie di leggi, trattamenti tributari e contributi sociali che di fatto consentono alle ASD e SSD di riempire il vuoto lasciato dallo Stato sia nella promozione e diffusione dello sport e dei suoi valori che nella gestione e riqualificazione d’impianti pubblici, in forma concessoria. Questi nuclei associativi e i loro dirigenti\amministratori devono però confrontarsi e spesso scontrarsi con la complessità della burocrazia italiana, tra norme igieniche, sanitarie, in materia di sicurezza antincendio e nei luoghi di lavoro, con tanto di responsabilità civili e penali. Molti oneri e nessun onore, considerando la natura no-profit delle stesse. In Italia non esiste una vera legge generale sullo Sport, per questo non di rado gli organi di controllo non hanno gli strumenti per comprendere e contestualizzare le situazioni che si trovano a verificare. Ma quali sono nello specifico le principali agevolazioni rivolte alle Società e Associazioni Sportive Dilettantistiche (SSD e ASD)?
Quando parliamo di Sport Dilettantistici, non possiamo parlare di “lavoro”; è per questa ragione che le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari, i premi e i compensi dei collaboratori sportivi vengono considerati “redditi diversi”. Nella fattispecie, questi redditi non prevedono una contribuzione obbligatoria ai fini previdenziali; inoltre il reddito non concorre nel limite dei familiari a carico fino a 10 mila euro. Non è prevista dichiarazione dei redditi. Insomma, una vera e propria singolarità che sfugge a tutte le logiche a cui il sistema dei controlli è abituato e sempre più SSD e ASD soccombono, a causa di questa incertezza normativa.
Secondo Sport-Italia 2020 il mondo dello Sport, soprattutto quello Dilettantistico, conta 170 mila collaboratori e circa 840 mila volontari; questi ultimi impegnati per una media di 5 ore settimanali paragonabili all’impiego di 105 mila risorse full-time.
Tra i settori maggiormente colpiti dall’emergenza Covid-19 ci sono indubbiamente le realtà sportive: A causa delle loro caratteristiche fortemente aggregative, palestre, piscine e impianti sportivi d’ogni tipo e dimensione, insieme alle scuole, sono stati i primi a chiudere e, molto probabilmente, saranno gli ultimi a ripartire. Ad aggravare questa situazione emerge un dato ancora più sconcertante. Tra le misure messe in campo dal Governo, nel Decreto “Cura Italia” (Art. 96), è riconosciuta un’indennità di 600 euro per ciascun collaboratore sportivo, a patto che non percepisca altri redditi da lavoro, “nel limite massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2020”. Parliamo dunque circa 83 mila domande (poco più di un collaboratore per ASD\SSD). Sarà Sport e Salute S.p.A. a raccogliere le domande, tuttavia, aggiungendo incertezza all’incertezza, tempi e modalità di presentazione sono rinviate a 15 giorni dall’entrata in vigore del Decreto (data non perentoria). Assisteremo a un Click day o una lotteria?
Strategico dal punto di vista sociale, sanitario ed economico, capace di autofinanziarsi, lo Sport, con i suoi operatori, dovrebbe essere tra i primissimi punti dell’agenda di un Governo serio e competente. Ciononostante, sarebbe già una conquista se non fosse fanalino di coda.
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