o donna, io persona
“Io donna, io persona” – Mia Martini
come un oggetto
come bambola da letto
io non voglio essere schiava
e neppure essere padrona
voglio essere soltanto
una donna, una persona
Questa citazione, è tratta da un singolo di Mia Martini del 1976. L’artista tratta temi molto attuali, come la mercificazione del corpo femminile, la violenza domestica, l’aborto, il moralismo ipocrita della società, prendendo come esempio la storia di tre donne, una cover-girl, una madre esemplare, una vedova austera.
Nonostante siano passati ben 44 anni, questa canzone sembra scritta nei giorni nostri.
Eppure, la storia dovrebbe aver insegnato qualcosa. Nei secoli, infatti, tante donne che si sono ribellate agli stereotipi sociali del loro tempo non hanno sicuramente avuto vita facile. Sono state perseguitate, arrestate e parecchie hanno trovato la morte, perché davano fastidio.
Una delle prime sostenitrici dell’emancipazione femminile è stata Olympe De Gouges, la quale, nel 1791, fece notare, nella “Dichiarazione dei Diritti della donna e della cittadina”, il ruolo negato delle donne nelle piazze pubbliche. Morì sulla ghigliottina nel 1793, perché non accettavano il suo moderatismo filo-politico e girondino. Nei secoli successivi, si sono susseguite tante donne che hanno portato avanti la lotta per l’accettazione sociale della figura della donna.
Durante la rivoluzione industriale e, quindi, con lo spostamento di masse di persone dalla campagna alla città, nacque l’esigenza, per le famiglie, di impiegare la donna in lavori nelle fabbriche, scarsamente retribuiti, che si andavano ad aggiungere al mantenimento della casa e dei figli. Mentre per le donne delle famiglie borghesi non era necessario lavorare, in quanto mantenute dai mariti, (da qui l’appellativo “regine della casa”) e la cura della casa e dei figli era riservata alla servitù. Alle donne della classe media non era consentito lavorare al di fuori dell’ambiente familiare, affinché evitassero contatti con estranei, (ed essere additate come “donne del popolo”). Tutto questo per non arrecare disonore all’uomo di casa (padre o marito), che aveva il compito di provvedere al mantenimento di donne e bambini. Inoltre, non avevano possibilità di avere un’istruzione completa, perché non si aveva fiducia nelle loro capacità. Addirittura l’accesso a scuola era loro precluso. Per tutte queste ragioni, anche il loro parere, in questioni familiari, soprattutto quelle legate alla gestione patrimoniale, non era tenuto di conto. Infine, a conferma della loro assoluta subordinazione ed ininfluenza nella vita della nazione, non avevano il diritto di voto.
La differenza di ceto sociale porterà alla formazione di due movimenti femministi: il “femminismo liberale”, della classe operaia, riservato ai diritti civili ed il “femminismo socialista”, della classe media, che vedeva realizzata una reale liberazione delle donne.
Il Novecento fu l’epoca delle suffragette. Già nel 1897, in Inghilterra, si provò a fare proselitismo tra gli uomini per concedere il diritto al voto alle donne, ma senza riuscirci. Negli anni a seguire, tante furono le manifestazioni e gli arresti di donne che gridavano slogan sul diritto al voto. Un primo cambiamento ci fu nel 1918, quando il Parlamento inglese accordò il diritto al voto alle donne benestanti con più di 30 anni. Nel 1928, lo stesso fu esteso a tutte le donne inglesi. In Italia, arrivò nel 1945. In Svizzera, nel 1971.
Gli anni Settanta sono anche gli anni di Mia Martini. Lei stessa è una di quelle donne raccontante nelle sue canzoni. Una di quelle donne abusate da piccoline, vittima di uomini vigliacchi, che non hanno saputo valorizzarla come donna e come persona, ancor meno come artista. Attraverso la sua musica, sperava di diffondere chiari messaggi sul rispetto delle donne e la loro dignità: di donne e di persone, appunto.
Mia Martini era una donna scomoda perché considerata diversa. Lei, anticonformista per eccellenza, ribelle, dal carattere impossibile, dal passato complicato, fatto di abusi da parte del padre padrone, il tunnel della droga, il carcere. Lei, fuori dal modello imposto dalla società del tempo. Lei, quella donna così attuale. Nelle sue canzoni parla di donne violentate, di aborto, di uomini piccoli piccoli. Temi affatto comuni in quegli anni. Anni in cui si tendeva a nascondere i lividi procurati dal padre o dal marito. Si reprimeva un carattere ribelle, perché considerato sbagliato. Ci s’indignava per un abbigliamento, considerato fuori moda.
Hai i rasta? “Oddio! “. Sei gay? “Scandalo! “. Hai una minigonna? “Beh, allora non lamentarti se poi un uomo dovesse toccarti o violentarti“. Insomma, sembra sia sempre colpa di noi donne. A prescindere.
E’ come se, secoli di lotte femministe, ci abbiano indebitate, in qualche modo. Come se le conquiste ottenute, grazie a queste battaglie fossero una gentile concessione. Tutto va bene, tutto è “tollerato”. A patto di restare confinate in stereotipi tardo-moderni. La bellezza è riconducibile ad un corpo magro, senza curve, visi super truccati, concezione della donna che cede a lusinghe e cade a compromessi per poter lavorare. Donne offese ed umiliate, sul fronte sessuale: perché unico mezzo per ottenere il “successo”. Donne considerate “stupide”. Nonostante tre lauree, la carriera,la formazione continua e continui aggiornamenti, una donna tende ad essere spesso, l’ultima ruota del carro, assecondare i bisogni ed i comandi di un datore di lavoro, che si sente superiore solo per il semplice fatto di essere un uomo. Donne che vengono viste dietro un asse da stiro, a cucinare, a fare lavatrici, a crescere i figli. Donne non realizzate, spesso stressate, trascurate, dedite alla famiglia, “serve” del marito. Donne considerate semplicemente schiave di una società maschilista e piena di pregiudizi.
Mia Martini non ce l’ha fatta! E’ stato troppo per lei sopportare il peso delle parole di quella società vigliacca e priva di sensibilità. Quelle cattiverie l’hanno segnata per sempre. Ma, ad oggi, dico che lei ha vinto. Ha vinto perché, dopo 25 anni dalla sua morte, le sue canzoni vengono ascoltate ancora da tutti, giovani e meno giovani. Lei, icona delle donne libere.
Libera di parlare, libera di cercare
“Libera” – Mia Martini
Libera di capire, libera di sentire,
realizzare un fine e di sbagliare da me
so bene quel che voglio, quello che non voglio
Quella donna libera che lei racconta nelle sue canzoni!